Elio Miccichè, Megara Iblea, alla riscoperta dell’antica colonia greca, 2000, 88-87820-08-2
Megara Iblea rappresenta una fra le più complesse aree archeologiche della Sicilia per la presenza di stratificazioni di epoche diverse che coprono i resti dell’antica città arcaica. Esaurita l’onda emotiva originata dalla visione dei ruderi, l’ignaro visitatore si sente pervaso da un profondo senso di disorientamento: pietre e reperti scorrono dinanzi ai suoi occhi come una pellicola muta priva di suoni e di parole. Miccichè prende per mano il turista-lettore e, confidenzialmente, ne guida i passi alla scoperta degli edifici pubblici e delle abitazioni private più rilevanti.
Come per incanto, le strade della città si rivestono di antichi suoni e luci, e si popolano di coloriti personaggi: da Cligene, burbero gestore di bagni pubblici, a Theòdoros da Samo, insigne architetto; da Trigeo Ferrigno, fabbro ferraio, all’informatore da Siracusa dello storico ateniese Erodoto, testimone della distruzione della città arcaica. E ancora: dal nipote di uno dei primi coloni fondatori, ai coniugi Iscomaco e Prassinoa, proprietari di una delle più lussuose abitazioni della città; dagli anonimi artisti che hanno tenuto alto il nome di Megara nel campo della pittura policroma, agli abitanti del quartiere nord, costretti ad uno sciopero della fame.
Ogni pagina è una pennellata di colore che trasforma il volto della città dal grigiore di un anonimo bianco e nero allo splendore di un luminoso ritratto.