di Anna Papale
Si conclude domani la mostra che, ospitata nelle splendide stanze di Palazzo Biscari, ha animato la stagione estiva catanese e ha donato alla città l’esclusiva opportunità di fruire di parte della collezione di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, direttamente dalla sua Fondazione presso Torino.
Il palazzo apre le sue porte per la seconda volta all’arte contemporanea con il progetto a cura di Pietro Scammacca e Ludovico Pratesi in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e UNFOLD, promosso dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale.
La scelta dell’allestimento nel più noto palazzo nobiliare catanese risulta vincente non solo per il lusso della dimora ma ancor di più per la storia e la passione verso l’arte di coloro che l’hanno abitata. Il Principe Ignazio di fatto avrebbe gradito e sostenuto il progetto integrandolo nella sua collezione. La “stanza analoga” è raggiungibile solo dopo aver percorso il palazzo, in un viaggio nella storia dell’arte che accompagna e introduce le ricerche contemporanee degli artisti delle generazioni degli anni ‘60 e ‘80, avvalorandone semanticamente le opere.
La “stanza analoga” si rifà alle stanze del palazzo dedicate al Don Chisciotte di Cervantes che però non sono visitabili dal pubblico. Come la trama del capolavoro spagnolo, anche le ricerche degli artisti in mostra risultano complesse e vertono sulle tematiche tanto attuali adesso quanto nel fittizio mondo di Cervantes/Don Chisciotte, come la relatività della verità. I mulini a vento che, per analogia appunto, gli artisti drammaticamente – e a volte invano – si ritrovano a combattere, sono i prodotti di scarto di una tecnologia forse troppo avanzata. La sostanza in deperimento che più preoccupa è la verità. Prima, Don Chisciotte e poi noi perdiamo la nostra lucidità davanti alla manipolazione della visione e della rappresentazione degli eventi attraverso strumenti quali censura (Renato Leotta, Paul Pfeiffer), appropriazione forzata di ciò che è altrui (Levine Sherrie), obsolescenza della memoria (Flavio Favelli), la vertiginosa ambiguità risultante dai dislocamenti e dalle decontestualizzazioni (Philippe Parreno, James Casebere, Katharina Fritsch, Douglas Gordon, Louise Lawler). Le analogie dunque con il capolavoro della letteratura spagnola sono parecchie, tant’è che la stanza si riduce a una metafora o grande metonimia della mente un po’ annebbiata ma decisamente creativa di Don Chisciotte.
Nell’epoca delle fake news e dell’accumulazione ossessiva e ossessionante dei social, i loschi strumenti, forniti dalla società come materiali di scarto, per occultare o distorcere la verità sono parecchi. Come nei fuorvianti giochi di linguistica anche gli artisti ricorrono a similitudini, climax (si vedano gli ingrandimenti di Magali Reus o le zoomate fotografiche), cesure e censure, crasi ambigue (l’opera Wantee di Laure Prouvost che rimanda insieme all’invito in principio del video: “Want tea?” e al soprannome di una donna), anafore e ripetizioni (il “you” ripetuto nell’istallazione di Tony Oursler), sono tutte strategie che messe insieme in una stanza potrebbero annullarsi, produrre un rumore ovattato, bianco, e per questo improduttivo, in analogia alla nostra sovrapposizione incontrollata di immagini e informazioni da cui solo raramente, e potremmo aggiungere paradossalmente, ne carpiamo le verità.
La confusione generata da tali strategie instaura un’ulteriore analogia di cornice all’interno della nostra “stanza analoga” poiché rimanda agli estri e ai capricci di un’epoca pomposa come quella barocca, la stessa che ha dato la nascita alle pitture del Palazzo e al Don Chisciotte. Le pareti, luogo eletto per eccellenza dagli artisti barocchi per esprimere il loro talento, nella “stanza analoga” presentano la porosità definita da Jurij Michajlovič Lotman: superfici opache, come le opere stesse, che si lasciano attraversare dalle interpretazioni del visitatore, le quali, data l’ambiguità e la relatività su cui tutte le opere insistono, risultano sempre diverse e mai sbagliate. Nella semiosfera di Lotman nulla è definito e definibile: sebbene si tratti di un luogo chiuso come la sfera o in questo caso la stanza, ciò che vi sta dentro è soggetto all’invasione di ciò che viene da fuori, per via delle sue pareti porose.
Utile analogia esplicativa è l’opera di Dominique Gonzalez-Foerster, una riproduzione di un’alcova all’interno della “stanza analoga”: si tratterebbe in questo caso della camera da letto di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo la cui storia tuttavia è delegata all’osservatore.
La mostra ci offre infine un’ultima suggestione. A inizio percorso troviamo l’opera della giovane Ludovica Carbotta, attuale protagonista del padiglione italiano della Biennale di Venezia e della stessa Fondazione Sandretto Re Rebaudengo con una personale a lei dedicata.