di Giamina Croazzo
Ignazio Moncada. Attraverso Palermo è il progetto presentato dall’Archivio Ignazio Moncada nell’ambito di Manifesta 12 – biennale di arte contemporanea in programma nel capoluogo siciliano da giugno a novembre 2018. Si tratta di un itinerario storico e contemporaneo che vuole legare alcuni edifici storici di Palermo e della sua provincia nel segno delle opere di uno tra i più importanti e significativi artisti italiani del secondo Novecento.
L’itinerario si articola per: Palermo con Palazzo Branciforte e l’intervento per il soffitto della biblioteca, una copertura a spioventi lunga ventotto metri e larga otto; Bagheria con la Villa Trabia e il Museo Guttuso di Villa Cattolica; Castelbuono con il Castello dei Ventimiglia, sede del Museo Civico al quale è stato donato il dipinto “La Maga Circe”. Per poi proseguire a Marsala, dove fino al 4 novembre è allestita, al Convento del Carmine, la mostra Ignazio Moncada. Attraverso il colore a cura di Sergio Troisi.
L’apertura per la prima volta al pubblico della Stanza dell’Irrequieto di Villa Trabia, camera da Moncada rivestita in ceramica policroma nel 1995, è l’occasione per ripercorrere la sua parabola di ceramista, lunga quarant’anni e coronata nel 2011 con una antologica alla Triennale di Milano. Per questo motivo si potrebbe aggiungere alle precedenti tappe dell’itinerario anche Gibellina, per la presenza dell’opera site specific che l’artista eseguì nel 1979, rispondendo all’invito di Ludovico Corrao per la costruzione della città nuova.
A/Archeologia
La scoperta della ceramica da parte di Moncada risale agli anni ’70, quando si avviò alla tecnica in Liguria, a Calice Ligure, prima, e in Sicilia, a Santo Stefano di Camastra, dopo. Le serie “Trasparenze” e “Archeologie astratte” lo avvicinano alla preistoria della produzione artistica e ai graffiti rupestri dell’Addaura. «Sono nato in un paese che è un vero serbatoio archeologico e questo ha sicuramente la sua importanza», disse. Moncada è ora un artista dal linguaggio primitivo, tracciato su una materia povera e naturale, ricoperta di ingobbi dai toni terrosi e solcata da segni astratti, spigolosi, energici, come fossero saette, lance, linee in movimento o ancora forme che evocano strutture arcaiche e possenti, come quelle, più grandi, che ritroviamo nel muro per Gibellina (3×5 metri). Altre volte è un moderno scriba che redige delle pagine di creta, ordinando i simboli di un’antica numerazione.
C/Colore/Cromosomi
Brillante, vivida, luminosa è la tavolozza di Moncada. Il colore compare nelle ceramiche a partire dal ciclo “Alesa” (1981-83), in cui disegna losanghe blu, rosse, gialle. In questo ciclo introduce segni simili a cromosomi, dalla tipica forma di bastoncino, in coppia a X oppure elicoidali, come nella rappresentazione grafica del DNA. Come i cromosomi, i suoi segni pittorici contengono le informazioni genetiche trasmesse all’arte del suo tempo.
D/Danza
Nelle serie degli anni Novanta-Duemila le decorazioni seguono il ritmo di una danza o di una partitura musicale. Ogni segno, carico di energia, ha un valore individuale, come una nota, ma ne acquista un secondo in rapporto agli altri, come in una melodia. Viene in mente La danse di Matisse. Opere di Moncada come “I compagni blu” (1989) e la “Danza blu” (2008) sembrano dialogare con la serie dei Nudi blu del pittore francese, con la loro esaltazione del colore e i movimenti armoniosi delle forme.
G/Gioia/Gioco
La gioia e il gioco pervadono le forme di Moncada. Il pallottoliere, strumento con cui il bambino esegue, giocando, i primi calcoli, diventa vaso o scultura ceramica, come quella esposta in questi giorni nella gipsoteca del Museo Guttuso di Bagheria. Il gioco è anche nel rompere e ricomporre i frammenti del vaso in un’altra forma, sperimentarne l’equilibrio del segno o proporre vasi che si ispirano al mondo animale.
I/Irrequieto/Inquieto
Due aggettivi che Ignazio Moncada si attribuiva e che ha assegnato a due opere del 1995. Una torre totem in bronzo a Roma, che è un gioco di pieni e vuoti, di assenze e presenze, e l’installazione per villa Trabia a Bagheria, come già detto. Una stanza interamente rivestita di ceramica smaltata policroma. Come le grotte in cui l’uomo della preistoria si chiudeva per dare vita alle sue inquietudini, alle speranze e ai riti propiziatori, dei quali i segni incisi e dipinti rimangono a testimonianza, così la stanza ha assorbito la sua presenza irrequieta, attraverso i segni dell’alfabeto astratto dell’artista.
M/Mediterraneo/Mare/Mito/Memoria
La mediterraneità di Moncada è racchiusa nei colori, nella gioiosità delle forme, nella terrosità degli ingobbi e nella brillantezza degli smalti, riflesso della luce abbagliante della sua Sicilia. Il Mediterraneo è nel riferimento al mare che lui amava, nel ricordo di un’isola greca, nelle figure mitologiche che lo ispirano e che lui trasforma in una rappresentazione astratta (Galatea, Polifemo, la Maga Circe). Un astrattismo dalle radici mediterranee, se così si può dire.
O/Ornamento
La ceramica in Sicilia lo è da secoli: si pensi alle cupole maiolicate, ai pannelli e ai pavimenti, alle edicole votive, alla Scalinata di Santa Maria del Monte di Caltagirone. Moncada abbraccia questa funzione decorativa della ceramica, dopo averlo fatto, in pittura, uscendo dai limiti della tela con la Pont Art (Arte del ponteggio, riconosciuta come sua cifra stilistica). Lo fa negli anni ’90 con opere private eseguite a Milano quali i murali per la sede della Winterthur Assicurazioni e per la sede centrale del Banco di Sicilia, o il riquadro in ceramica smaltata presso il Medio Credito Lombardo. Alla fine del secolo scorso compie sei piscine in mosaico e i rivestimenti ceramici policromi per due bar dei transatlantici greci Olympic Voyager e Olympic Explorer. Lo stesso intento decorativo è nella grande opera ambientale per il lungomare di Albissola, un sedile in ceramica ingobbiata, lungo quarantadue metri, che delimita a semicerchio una piazza e che intitola Gioie e delizie di Galatea.
S/Sicilia/Sogno
Moncada è rimasto sempre ancorato alle sue radici nonostante il suo peregrinare in Italia e all’estero: da Parigi a Bruxelles, da Roma a Milano. La Sicilia è la terra natìa in cui ritornare di frequente ed attingere nuovi elementi e ispirazioni. Se lontana, è evocata nei titoli delle opere, nella tavolozza, nei materiali. Una visione sognante e un’attitudine onirica che fanno pensare a Mirò, anche lui ceramista, ai suoi colori brillanti e pieni, come la luce dei luoghi in cui i due sono nati. Entrambi scappano da una vita e da un impiego ordinario, trascinati dal bisogno di raccontare la poesia interiore.
Si ringrazia l’Archivio Ignazio Moncada (www.ignaziomoncada.org) e Carmela Grasso (www.facebook.com/carmela.grasso.5)